venerdì 6 gennaio 2012

Elogio della frugalità - Serge Latouche


Elogio della frugalità
Colloquio di Serge Latouche di Gigi Riva
L'espresso, 4 gennaio 2012


Non ci si può naturalmente aspettare che la destra sposi qualunque teoria sulla de­crescita né, tantomeno, che possa considerarla "felice".
Ma la vera novità, negativa secondo Serge Ljtouche, 71 anni, economista e filosofo francese, ideologo della neces­sità impellente di produrre e consuma­re meno (per vivere meglio), è che an­che molti giovani e meno giovani di si­nistra già "riconvertiti in verdi", stanno tornando a vecchi dogmi che misu­rano il progresso con la capacità che hanno le fabbriche di sfornare beni, Ascolta un Nichi Vendola che si dice affascinato dalla «provocazione cultu­rale di Latouche» ma per cui, per ora, la realtà è quella di una decrescita molto infelice, e allarga metaforicamente le braccia:
«Amo Vendola ma non ho mai creduto alla sua conversione ideo­logica». Insomma: pur se ha messo la parola "ecologia" nel nome del suo partito, non ha mai sposato fino in fondo le conseguenze di una scelta davvero, e radicalmente, verde.
Gli contrappone, attualizzandolo, un po­litico italiano del passato, Enrico Berlinguer: «Nel 1977 lui usò il termine "austerità" e non venne capito. Io di­co la stessa cosa con un'altra parola: "frugalità"».
La nostra abbondanza frugale è la maniera «per superare un modello consumista dissennato che è entrato in crisi, i cui carat­teri distintivi sono lo spre­co e Io sperpero».
Serge Latouche, una teoria -seppur affascinante - ha bi­sogno di un progetto politi­co. E se anche una fetta di si­nistra, in epoca di crisi eco­nomica, pensa che la rispo­sta sia la crescita, allora lei ha poche chances.
«Il problema è un cambiamento culturale profondo. I giovani tornano al produttivismo perché cercano un impiego che non hanno e non riescono nemmeno a immaginare una società che crea lavo­ro senza essere dentro la logica della crescita. Nessuno gliel'ha spiegata». ►
È invece possibile.
«Partiamo dalla considerazione opposta. Da diverso tempo la crescita, almeno quella che noi conosciamo in Occi­dente e che negli anni più floridi è stata al massimo nell'ordine del 2 per cento, non crea posti di lavoro.
Ci vorrebbe una crescita del 5-6 per cento per elimi­nare la disoccupazione. Cifra evidentemente impossibile da raggiungere».
La politica, o meglio gli economisti che hanno sostituito i politici, si affannano su ricette che riducano i debiti pubblici e, se ci riescono, rilancino lo sviluppo.
«Sì, il famoso programma del vertice del G8 di Toronto del 2009 che si è chiuso con la doppia impostura conte­nuta nelle parole "rilancio" e "auste­rità". Basta andare a chiedere ai greci cosa ne pensano di questa politica e dei suoi risultati catastrofici. In Grecia il popolo aveva votato massicciamente per un partito socialista che non è riu­scito a realizzare i suoi progetti perché,
a causa della pressione dei mercati, si è visto imporre un'austerità neo-liberale. Dopo il fallimento del socialismo reale assistiamo al vergognoso scivola­mento della socialdemocrazia verso il social-liberismo. E non vale solo per la Grecia»,
Una parte degli economisti di sinistra cerca in effetti di badare al sodo: rilancio di consumi e investimenti per ridare un segno piò al prodotto interno lordo.
«Lo fanno alcuni intellettuali, come Joseph Stiglitz, che rilanciano vecchie ricette keynesiane, ma è una terapìa sbagliata. Almeno dagli anni Settanta i costi della crescita sono superiori ai suoi benefici e stiamo esaurendo le risorse naturali.
Quella della crescita è i solo un'illusione, un inganno che possiamo perpetuare per qualche anno, ; non di più. Prendiamo l'Europa ad esempio. Sia governi di sinistra come quelli di Papandreou o Zapatero,quando c'erano, sia di destra come Merkel o Sarkozy, continuano a pro­porre per uscire dalla crisi le stesse ri­cette che l'hanno prodotta. Quando ci vorrebbe il coraggio di uscire dalla lo­gica della religione della crescita». Resta da capire con chi lei immagina di realizzare questo progetto. «Con una sinistra che sia davvero tale e che superi qualche tabù come quello dell'euro. La moneta unica ci sta stran­golando perché è supervalutata e ci im­pedisce di fare politiche nazionali dì protezionismo economico e sociale. Ci impedisce, di fatto, dì gestire la crisi perché non possiamo svalutare la mo­neta ».
La sua ricetta, decrescere, o "a-crescere" come lei ha precisato, per alcuni evo­ca una lugubre stagione di privazioni e ri­nunce.
«Siamo entrati lentamente nel capita­lismo, che è il sinonimo di crescita, e lentamente ne usciremo. Grazie a un cambiamento lento, ma ineluttabile.
Lavoreremo meno per produrre meno. Se si produce meno si distrugge meno natura, ma non è detto che si abbia ne­cessariamente meno. Se invece di cam­biare automobile ogni due anni e com­puter ogni anno li si cambia ogni dieci perché se ne producono di resistenti, la soddisfazione del bisogno di possede­re quegli oggetti è esaudita ma c'è bi­sogno di meno denaro, dunque di me­no lavoro. E si avrà più tempo libero per relazioni e affetti».
C'è da chiedersi cosa faranno i dipenden­ti di quelle aziende di computer o auto.
«A loro volta avranno bisogno di me­no. E il nostro rapporto col tempo che va completamente rivisto. Siamo così stressati che dormiamo, in media, me­no che in passato, guardiamo troppa televisione, non facciamo sport, diven­tiamo obesi (altro problema sociale) e non ci occupiamo dei nostri bambini».
Lei, professor Latouche, sta dipingendo un perfetto modello occidentale. Ma il mondo è assai più vasto.
«Infatti "decrescita" è uno slogan da usare per i Paesi ricchi, senza pretesa di imporlo ad altri. Io so solo, però, che l'ideologia della crescita è catastrofica per tutti, a ogni latitudine. Ma ciascu­na società deve poi gestire il funzionamento dell'a-crescita secondo i propri valori. I cinesi arriveranno a pratiche ecologiche per poter stare meglio. Per gli africani la parola crescita non ha granché senso e semmai devono pensa­re di produrre di più nel settore ali­mentare. Ma stando attenti a salva-guadare il territorio».
Tornando a noi: è di gran moda l'espres­sione "sviluppo sostenibile".
«Mi spiace, non ci sto. Non c'è nessu­no sviluppo che sia sostenibile oggi. Abbiamo dissipato troppe risorse. Do­vremmo fare più attenzione. Penso sempre a due Tir che si incrociano sot­to il tunnel del Monte Bianco e uno porta l'acqua minerale francese a voi, l'altro l'acqua minerale italiana a noi. Che spreco».
Che altro guadagniamo dalla decrescita?
«Mi viene in mente Baldassarre Casti­glione e il suo "Il cortigiano", in cui suggeriva al Principe di dare più tem­po alla vita contemplativa e alla riflessione e meno all'azione. Ecco, il tempo per se stessi sarebbe davvero il regalo migliore della decrescita».